La dimensione umana dell’innovazione.

Immagina l’innovazione come un campo

Se provi a immaginare l’innovazione come un campo da coltivare, diventa facile riconsocere che c’è una parte visibile, la superficie della terra su cui crescono i frutti, i risultati dell’innovazione: nuovi pensieri e comportamenti, nuovi prodotti, servizi o processi.

E c’è una parte invisibile: la qualità del terreno da cui i risultati in gran parte dipendono. La parte nascosta, sotto la superficie, riguarda le competenze umane su cui l’innovazione cresce: la creatività dei singoli e la collaborazione come abilità sociale.

Con questa bella metafora di Otto Sharmer, ideatore della Teoria U (che per la verità lui usa in un altro contesto), è immediato comprendere il valore degli aspetti meno visibili per ottenere frutti rigogliosi, in quel processo di creazione del nuovo che ha bisogno di molti contributi per realizzarsi.

Dalla qualità del terreno dipende in gran parte la qualità dei frutti.

Le sfide umane dell’innovazione

L’innovazione è una dimensione umana, prima che tecnologica e strategica. Riguarda la capacità di sostenere l’incertezza del cambiamento, la frustrazione per risultati che possiamo percepire lontani o l’eccitazione che ci fa perdere contatto con la realtà. E riguarda la disponibilità all’incontro, allo scambio e alla contaminazione, da cui il nuovo nasce.

In un ambiente in cui mancano intelligenza emotiva (capacità di comprendere e guidare sé stessi) e intelligenza sociale (qualità di relazione, comprensione dell’altro e del sistema) è molto più difficile innovare.
Manca l’ascolto e quindi la possibilità di cogliere i segnali deboli, c’è timore nel condividere le idee e nell’esporsi al rischio del fallimento (anche piccolo), possono accendersi conflitti distruttivi nei momenti di scelta. A volte si spegne la motivazione e si accende la tentazione di rinunciare, altre volte la motivazione spinge qualcuno a correre velocissimo, tanto da non accorgersi di perdere gli altri per strada.

L’innovazione non è un obbligo, è di moda magari, in questo momento sembra più che mai necessaria. Credo risponda ad uno dei bisogni umani più profondi: quello di evolvere. E’ complicato ingabbiarlo, in qualche modo emerge, e se abbiamo negato o evitato questo bisogno, può emergere d’improvviso e in modo scomposto.
Anche quando abbiamo scelto di innovare, le sfide umane si incrociano a quelle tecniche, conoscerle e dedicarci attenzione aiuta ad attraversarle con maggiore leggerezza e efficacia.

Piste da percorrere
Come tutti i giochi, anche l’innovazione ha le sue regole. Possiamo considerarle delle piste che agevolano il cammino mentre ci avventuriamo in terreni poco conosciuti.
Tra i molti, condivido tre punti di riferimento, guide per me e per il mio lavoro.

La prima è la Teoria U, ideata da Otto Sharmer, professore al Mit di Boston, un modello per la gestione del cambiamento nell’impresa e nel sociale. Sharmer si concentra sull’ascolto, ne parla come dell’abilità più sottovalutata della leadership.
L’orientamento all’esterno, al fare e ai risultati, ci distoglie dallo spazio in cui i risultati iniziano a concretizzarsi: la consapevolezza, la capacità di vedere sè stessi e il proprio sistema in profondità, senza farci travolgere dalle dinamiche di superficie.
Fare chiarezza sulle proprie intenzioni è senza dubbio il primo passo per riuscire a realizzarle.
Nella mia esperienza, non è così facile mettere a fuoco l’intenzione e la direzione quando stiamo immaginando il nuovo, il processo creativo è fatto di incognite e divergenze.
Per questo la Teoria U invita ad ascoltare profondamente, con testa, cuore e volontà aperti, tutti i segnali che arrivano da fuori e da dentro, proponendo strumenti che aiutano a sospendere il giudizio, il cinismo e la paura.

Il genio collettivo, la cultura e la pratica dell’innovazione è un libro che continuo a ringraziare. E’ frutto di una ricerca sul campo, in cui Linda Hill, professoressa ad Harward, assieme ad altri colleghi ha osservato da vicino cosa succede nelle imprese che sanno innovare con continuità.
Ne esce che l’innovazione non è frutto di un’unica idea straordinaria o di una sola mente geniale, quanto piuttosto di un lavoro collettivo, di un approccio che fa parte integrante della cultura organizzativa: un modo di pensare e di agire condiviso dalle persone. La leadership dell’innovazione è lontana dal modello tradizionale, eroico e solitario, si fonda sulla capacità di fare squadra e costruire una comunità dove ognuno possa fare la sua parte verso uno scopo comune, da costruire e verificare con la partecipazione di tutti.

La creatività è il punto di partenza dell’innovazione, è la capacità di combinare elementi esistenti in modo nuovo. Di combinarli in modo utile, in grado di rispondere alle sfide reali. E di combinarli in modo bello, per portare armonia.
L’ispirazione arriva da Henrì Poincaré, scienziato francese vissuto a cavallo tra 1800 e ‘900, e ancora oggi Seth Godin, tra i massimi esperti del tema, parla del creativo come di una persona che riesce a dare il suo contributo al mondo: compie un atto di crescita e di connessione attraverso ciò che fa. Espressione del talento e contributo alla comunità sono le dimensioni che la creatività unisce.
Non è solo un’abilità innata, è pratica quotidiana. Parte dalla curiosità, passa dall’intuizione e continua con la perseveranza. Mettere in dubbio le certezze, procedere per prove ed errori, rimanere aperti alla scoperta e verificarla sono passaggi che, diversamente da quanto si crede, chiedono metodo e allenamento per scire da abitudini e modelli di pensiero consolidati, utilizzati per lo più inconsapevolemente.

Partecipa alla ricerca
Se vuoi trasferire questi stimoli teorici nella tua realtà quotidiana puoi iniziare da due survey
che abbiamo attivato per fare una ricerca sul campo e approfondire la sinergia tra gli aspetti strategici e la dimensione umana dell’innovazione.
Potrai cogliere qualche stimolo e contribuire alla riflessione.

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Due pratiche per coltivare innovazione
Consapevolezza: prenditi del tempo per comprendere cosa davvero aiuta te e le persone che ti stanno intorno a evolvere, in modo da poter coltivare pensieri, comportamenti e relazioni che siano terreno fertile per questo scopo.

Allenamento: pratica l’innovazione, non aspettare che sia un bisogno urgente. Prevedi dei momenti in cui fare esperienza di nuovi modi di pensare, scegliere, stare in relazione. Se le competenze tecniche possono essere trasferite, le competenze umane, emotive e sociali, hanno bisogno di essere sperimentate e maturate in prima persona.